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“Lerfe”

“Lerfe”

di Fiorenzo Toso

Mi viene chiesta qualche notizia sulla parola “lerfe”: in genovese, come è noto, sono le ‘labbra’, ma il singolare “lerfo” è poco usato.

Mi viene chiesta qualche notizia sulla parola “lerfe”: in genovese, come è noto, sono le ‘labbra’, ma il singolare “lerfo” è poco usato.. A dire il vero il termine non corrisponde in tutto e per tutto all’italiano, avendo una connotazione piuttosto negativa: si può dire di una persona che ha “e lerfe imböse”, ossia che ‘ha il broncio’, oppure che ha “e lerfe sciute”, ‘le labbra asciutte’ (e metaforicamente che non spiffera i segreti), si può anche parlare di “lerfo scciappou”, ed è il ‘labbro leporino’, ma guai ad esempio a dire a una ragazza che “a l’à de belle lerfe”: si correrebbe il rischio di rimediare un bel… “lerfon” (o “lerfâ”), che è, come noto, un ceffone dato sulla bocca.

La forma più “diplomatica” è allora il poco usato e insolito “lapri”, “labri”, probabilmente frutto della sovrapposizione della forma italiana sul più antico “lavre”. In ogni caso, la nostra voce compare nel sec. XVII, quando anche il plurale era prevalentemente maschile: “mette ri lerfi e ri sunaggi à muœggio”, dice il Capriata; tuttavia Giuliano Rossi, che scrive in genovese “basso”, ha anche la forma femminile “lerfe”, presente in testi provinciali come quelli del taggiasco Stefano Rossi (1637), circostanza che lascia pensare che il femminile plurale fosse in origine una forma prevalentemente popolare.

Oggi comunque il plurale maschile “lerfi” è ancora piuttosto diffuso nei dialetti liguri, soprattutto a Ponente, ma il femminile è decisamente maggioritario.

Il derivato “slerfa” viene a volte menzionato come una forma “tradizionale” per definire un pezzo di focaccia. Da quel che ho potuto appurare, le persone di una certa età hanno sempre detto semmai (e io personalmente concordo) “unna sleppa de fugassa”, e forte è l’impressione che questo “slerfa” sia nato piuttosto recentemente proprio dalla sovrapposizione di “lerfo” su “sleppa”. In ogni caso, poco male, anche il conio di un neologismo è in fondo il segnale della vitalità di una lingua.
fonte https://www.facebook.com/fiorenzo.toso